È difficile non cadere nel dire banalità quando parliamo di adolescenti ed è rischioso scrivere qualcosa su adolescenti e dintorni.
E il rischio Barbara Baffetti lo ha corso, e ci ha regalato un testo originale perché, se è vero che esistono diari di adolescenti e preadolescenti, è anche vero che Pietro, protagonista del nostro testo, ci regala un diario diverso: ci condivide la ricerca di se stesso, la sua vita alle prese con amici, prof, fratello, sentimenti, adulti, ma come troviamo nell’apertura, in un mondo che ci vorrebbe tutti uguali, lui ci svela la sua originalità senza difendersi o coprirsi dietro la nota dell’ironia, o dietro la maschera del ribelle, dello sfigato, del rivoluzionario.
Lui semplicemente attraversa la vita, i suoi cambiamenti e le sue sfide dal punto di vista di un preadolescente che si interroga, si arrabbia, si spaventa, ma anche riconosce la bellezza di ciò che la vita gli dona, che sa apprezzare gli incontri, i doni che si celano dietro quelli che vive come imprevisti o pericoli. Così, per esempio, scoprirà la bellezza di avere un fratello anche se rompiscatole, come lo definisce lui, scoprirà l’importanza di avere amici, di apprezzare la propria storia.
Credo che un grande merito di questo libro sia proprio quello di non mettere davanti al vissuto dell’adolescenza una lente particolare, un filtro, di non consegnarci tutto da una nota dominante che, appunto, può strapparci un sorriso, ma sicuramente non ci permetterebbe di crescere come lettori insieme al protagonista. Invece chi si mette in cammino con Pietro, poi potrebbe scoprire di vivere o aver vissuto gli stessi passaggi, e aver raggiunto gli stessi traguardi.
Ma chi è Pietro? Ecco, Pietro è un preadolescente che si trova a cambiare città e, quindi, classe e che vive tutto un tempo di inserimento nella nuova realtà. È un preadolescente che ha appena lasciato il suo stormo rassicurante e si accinge ad affrontare l’ignoto con l’esigenza sempre più consapevole di aver bisogno di un nuovo stormo. È molto bella l’immagine dello stormo che la Baffetti ci regala, perché è molto diversa da quella del branco cui siamo abituati: lo stormo vola, lo stormo ha regole precise, ma permette voli personali, lo stormo è in movimento, ha anche una meta. In questo caso la crescita e il senso di appartenenza di un preadolescente. E Pietro sente il bisogno di tutto ciò: come ogni adolescente e preadolescente brama e teme il gruppo dei pari, come ogni studente entra in una classe in cui non ha scelto i componenti, ma è chiamato a scegliere con chi costruire rapporti privilegiati. E tutto ciò è come un bisogno impellente: appena entra nella nuova classe si guarda intorno, soppesa i compagni, inizia a costruire nuovi rapporti. Costruire, tessere, creare nuovi legami, è questo il grande lavoro che impegna Pietro per tutto il suo diario. E questo lavoro di tessitura, fatto di osservazione, riflessione, salite e discese attraverso gli incontri, le parole, le dinamiche che vive con gli amici e che intreccia con gli adulti, tiene banco nel suo diario e nella sua vita. Fino a sentirsi parte dello stormo e spiccare il suo volo. Non per il gusto di un lieto fine, ma perché sta crescendo.
Questo cammino dà all’autrice la possibilità di consegnarci in Pietro un personaggio a tutto tondo, che non si sottrae alle paure, alle domande scomode che sorgono, e, direi, insorgono dentro di lui, di farci entrare nei pensieri profondi, espressi con la semplicità del vissuto, di uno sfogo, di una nuova consapevolezza che lo sorprende. Pietro ci fa il dono di lasciarci entrare dentro il cuore e la mente di un preadolescente senza buttarci fuori, senza lasciarci al bordo del campo in cui si gioca la sua vita. Così troviamo in lui la paura di non farcela, il disagio di convivere con la sua “famiglia spaziale”, la scoperta di un nuovo sentimento che si fa strada dentro di lui. In questo la Baffetti, senza retorica e dissertazioni, dà cittadinanza ai pensieri scomodi o dolorosi, alle paure, allo smarrimento, alle sfide che ogni ragazzo, consapevolmente o meno, deve fronteggiare. E Pietro lo fa senza nascondersi dietro una maschera, appunto, che sia dello sfigato, del bullo, della vittima, dell’idealista o qualunque altra. E scopre anche sentimenti nuovi, e ci consegna attraverso la sua simpatia per Anna, la storia di un’amicizia che gradualmente cresce fino allo sbocciare di un sentimento, ci suggerisce un approccio possibile laddove a volta manca a un preadolescente un adulto che testimoni percorsi significativi per aprirsi all’altro.
Altro aspetto rilevante del testo è che questo viaggio della vita non lo fa da solo. Noi non incontriamo solo Pietro e i suoi pensieri, le sue emozioni, noi conosciamo Anna, Davide, Joseph, Luz, e le loro interazioni: l’universo di Pietro è abitatoda altri punti di vista, altri pensieri, altre emozioni che arricchiscono e a volte ribaltano i suoi.
Non ultimi ci sono gli adulti. Nel mondo che il protagonista ci racconta, gli adulti sono ciò che il loro stesso nome esprime: dal participio passato, adultus, hanno terminato la fase dell’adolescere, del crescere, e sono ormai compiuti, sanno prendere posizione, sanno accogliere, sanno sostenere, ma anche lasciar andare. E questa sponda su cui Pietro può contare, è preziosa perché gli riconsegna la sua stessa vita da un altro punto di vista che non giudica, ma vede ogni volta le possibilità nascoste dentro le situazioni.
Se fin qui abbiamo parlato di dinamiche e percorsi propri di un adolescente, il nostro protagonista vive anche una consapevolezza particolare, quella che rende spaziale la sua famiglia: è adottato.
Il tema dell’adozione è presente non come dissertazione, ma come esperienza che emerge nelle diverse sfumature della relazione con i pari, con la propria identità, con la famiglia. Emergono domande, imbarazzi, pensieri e retropensieri che ne sgorgano e ne nasce nel cuore la consapevolezza di una storia spaziale, come viene definita nel testo, fino a rendersi conto che, poi, alla fine, ogni famiglia è spaziale anche se naviga su galassie diverse.
Ecco, pertanto, che, alla fine, il protagonista si renderà conto che molti dei timori, dei pensieri, delle ansie che vive non nascono dalla propria esperienza adottiva, ma sono comuni con gli altri. Tutto questo permette di non enfatizzare la specificità, quanto di evidenziare il fatto che tutti gli adolescenti ad un certo punto si pongono domande e cercano risposte esistenziali, personali e familiari.
Va sottolineato che, se il lettore teme di trovarsi di fronte a un lieto fine un po’ scontato, sappia che non è così: mi sento di affermare che quell’abbraccio su cui si chiude il diario, non è il fotogramma rubato al Mulino bianco di una famiglia ideale, ma la vetta conquistata al termine di una salita fatta di impegno e tessitura delle relazioni, ed è il punto da cui spiccare il proprio volo.
Tutto ciò in un linguaggio immediato, ma mai colloquiale, efficace, ma mai stereotipato, calzante, ma mai banale. Il linguaggio e la grafica rendono pienamente l’altalena delle emozioni che Pietro vive senza mai scadere in dualismi quali figo/sfigato, vincente/perdente, in cui quando a scrivere è un adolescente a volte ci imbattiamo.
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