Coppia e figli: imparare ad accogliersi #4

QUARTA PARTE | LA COPPIA

di Maria Luisa Papa

(Tratto dalla conferenza della D.ssa Maria Luisa Papa durante il Convegno “L’accoglienza dell’alterità nella coppia e nei figli” svoltosi il 15 gennaio 2022 in occasione dell’8vo evento annuale dell’Associazione “Rete Famiglie Adottive”).

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FORMARE UNA COPPIA

In questa ricerca di compagnia, desideriamo incontrare uno che sia uguale e con cui poter fare coppia.  Realizzato questo desiderio, vorremmo che anche chi abbiamo incontrato desideri la nostra compagnia: per questo cerchiamo di dimostrarci ai suoi occhi come uno stra-ordinario e originale. Così, estremizzando per chiarezza, uno si vede costretto a scegliere tra essere straordinario e insostituibile, arrivando a pagare il prezzo di restare solo ed essere semplicemente quello che si è – raggiungendo l’amor proprio, di cui dicevo prima – che ha il vantaggio di farci sentire in compagnia anche in mezzo alla folla.

Il modo in cui ogni essere umano cerca di formare una coppia proviene dall’esperienza che ha vissuto di fronte alla coppia dei propri genitori. È un’influenza inevitabile   che a volte si manifesta perfino nella tendenza compulsiva a far proprio il contrario di ciò che si è visto far loro. Formare una coppia sancisce un passaggio alla vita adulta, un’apertura verso l’altro che trasforma il modo di vivere e di sentire la vita di ognuno dei due.

ESSERE IN DUE O ESSERE COPPIA?

Il termine coppia implicitamente conserva un’ambiguità scomoda: allude alla condizione di paio e non di coppia: intendo dire che non somiglia ad una coppia di chiavi o di fiammiferi, quanto piuttosto ad un paio di scarpe o di guanti, in quanto si tratta di un paio complementare. Il paio di guanti stanno bene insieme sono assortiti bene ma il guanto destro non può essere indossato dalla mano sinistra. Ognuno dei guanti è in coppia ma mantiene la sua specifica peculiarità.

È difficile parlare di peculiarità di ognuno dei membri di una coppia e dell’amore che in essa si alimenta. E’ difficile anche usare la parola amore, senza creare equivoci, perché questa parola indica tante cose che finisce per essere più facile descriverle: parliamo dell’amicizia e dell’affetto che si costruiscono con gli anni e con i ricordi condivisi; parliamo della familiarità e della fiducia generate dalla stretta convivenza; parliamo del cameratismo che nasce quando    si hanno gli stessi bisogni e gli stessi progetti; parliamo del desiderio dell’unione genitale e anche del desiderio di stare vicini e di essere consolati, accarezzati e confortati; parliamo dell’accettazione della nostra persona così come è , accettazione implicita nel sorriso con cui ci apprezzano.

SCOPRIRE L’AMORE

Tutte queste cose diverse le chiamiamo con una stessa parola: amore. Si è soliti affermare che l’amore non dura, intendendo che l’entusiasmo di un amore appassionato viene esaurito in una relazione duratura, logorata dalla quotidianità del rapporto. Eppure, la capacità di trovare “il nuovo, ancora e ancora in ciò che è abituale è possibile anche nella quotidianità di un matrimonio”. Vedere l’altro con occhi nuovi è un’arte e una scienza che vanno coltivate quotidianamente attimo per attimo. E questa è la meraviglia dell’amore. Non serve anelare un amore inebriante in antitesi alla frustrazione che si vive. È vero che il vino può soddisfare piaceri orali ma è l’acqua quella che appaga la sete (Chiozza L).

CONVIVENZA: ELOGIO DELLA DIFFERENZA

Allora non c’è bisogno né di fare una lotta contro gli altri, né una difesa a spada tratta delle nostre idee o convinzioni, quanto piuttosto acquisire la consapevolezza per riconoscere quella che può essere definita come la grande tentazione dell’uomo: l’egocentrismo. In questo caso, l’interesse è rivolto a noi stessi, a salvaguardare le nostre abitudini e i nostri stili di vita nonostante i nostri proclami. Siamo ben consapevoli che al di là delle teorizzazioni sull’importanza della relazione con gli altri, del rispetto delle opinioni altrui e della disponibilità all’ascolto, è estremamente difficile lavorare per esempio in gruppo, accettare qualcuno che ha un’idea differente dalla nostra o appartiene ad una diversa cultura. È frequente, infatti, che l’altro sia sentito come altro da me, come estraneo.

UNA SINTESI

E allora la convivenza dovrebbe contemplare l’elogio della differenza, una differenza reciproca che a volte può emergere anche come un senso di solitudine e di incomprensione. Eppure, la difficoltà che sentiamo in ogni convivenza o in ogni relazione con l’altro non è una limitazione. Così come la resistenza dell’aria è proprio ciò che sostiene l’aereo in volo, l’incomprensione da parte dell’altro è ciò che costituisce la peculiarità della persona. Ogni membro della coppia ha bisogno di comprendere che ciò che è importante per uno non lo è necessariamente per l’altro.  Ma entrambi sanno di essere reciprocamente importanti e allora è indispensabile riuscire a dialogare, rinunciare allo scontro o a con-vincere l’altro.  Il fatto è che stanno parlando uno di fronte all’altro: ognuno ha un punto di osservazione speculare. Allora si può parlare di ciò che l’uno vede alle spalle dell’altro e viceversa così da arricchire l’immagine di ognuno. Questo ci permetterà di scoprire tutto ciò che abbiamo in comune e di ampliare i diversi punti di vista o di provare insieme a guardare dallo stesso lato.

Allora, siamo partiti dall’ ineluttabilità di saper navigare tra tolleranza e intolleranza, per giungere a come per ogni essere umano sia implicito nella propria storia l’incontro con l’altro, fino a riconoscere come l’altro possa diventare il di-verso, dove versus sta a significare “contro”.  Non ci resta allora che prendere consapevolezza della nostra tendenza a coltivare atteggiamenti egocentrici invece di coltivare l’atteggiamento di accoglienza dell’altro così che dalla relazione con questi si giunga ad una fecondazione creativa reciproca. L’Altro diventa, infatti, un’opportunità per comprendere che proprio quello che ci disturba o ci irrita diventa un’occasione preziosa per conoscere e accogliere la nostra parte oscura. L’altro è lo specchio – scrive Panikkar – se non mi guardo nell’altro non mi riconoscerò mai e la via per aprire la “nuova conoscenza” è il dialogo.

Il dialogo presuppone una delle cose più semplici e più difficili: l’ascolto. Io non posso ascoltare se sono pieno di me, se credo di sapere a priori che cosa l’altro dirà o se lo critico anche se credo di usare la critica nel senso più nobile della parola.

Ma la parola che indica l’ascolto è obbedienza è ab-audire. Siamo disposti ad ubbidire?

Non dobbiamo sorprenderci che il nostro mondo di valori non appaia più coerente e ordinato e che coesistano in esso mescolandosi e opponendosi tra loro valori attuali e anacronistici. L’individuo anteponendo sé stesso e il proprio piacere come valori supremi si dissocia dall’ambito dell’appartenenza e disprezza il suo inserimento trascendente nella catena delle generazioni, che è appartenenza anche all’ordine ecosistemico.

Oggi il nostro ambito socioculturale è sorpassato dalla velocità dei cambiamenti e dall’alluvione informativa che si associa a tali cambiamenti. L’intrusione massiva di cambiamenti e di informazioni impedisce la sua integrazione progressiva e la messa in gioco dei sistemi di protezione. Lo spazio sociale non ha potuto attrezzare le sue difese. Difese che dovrebbero essere rappresentate anche dalle istituzioni ma queste possono a loro volta avere un funzionamento fragile.

Come posso concludere la mia conversazione? Con le parole di Chiozza: “Quando l’adulto o l’anziano perdono la curiosità del bambino e la passione del giovane verso l’altro e verso il nuovo, allora il loro sguardo si spegne, non perché sono diventati vecchi ma perché con il trascorrere degli anni la loro vitalità si è rovinata”.

Fine