Coppia e figli: imparare ad accogliersi #3

TERZA PARTE | I FIGLI

di Maria Luisa Papa

(Tratto dalla conferenza della D.ssa Maria Luisa Papa durante il Convegno “L’accoglienza dell’alterità nella coppia e nei figli” svoltosi il 15 gennaio 2022 in occasione dell’8vo evento annuale dell’Associazione “Rete Famiglie Adottive”).

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IDENTITÀ E INTEGRAZIONE

Ho parlato di amor proprio, di importanza, di preservare la propria identità e anche dell’attrazione e della necessità di interagire, di mescolarsi e combinarsi con gli altri, che ogni individuo prova e che appartiene all’evoluzione della storia biologica e psicologica di ognuno. La convivenza umana esige, quindi, costantemente l’esercizio di un equilibrio tra il desiderio di mantenere la propria identità e la necessità ineludibile di integrarsi.

IL RUOLO DI GENITORE: RESPONSABILITÀ E INSIDIE

Quando viviamo la nostra identità e appartenenza in una maniera armonica, non è necessario esibire e sottolineare, per esempio, il proprio ruolo. Mi riferisco al ruolo sociale che ognuno di noi svolge nella società in cui vive, in relazione alla posizione che vi occupa (il ruolo di genitore, insegnante, psicologo, medico etc.): un ruolo che ci fa sentire appartenenti a una determinata categoria. Per esempio, si è soliti dire che essere genitori sia il mestiere più difficile del mondo.  Questo ruolo contempla la relazione con il figlio che è in continua trasformazione. Il più delle volte ci ritroviamo a essere genitori senza aver smesso di essere figli e allora, nel non sentirci pienamente a nostro agio nel ruolo che stiamo rivestendo, in quel particolare momento, andiamo alla ricerca di una conferma esterna: pretendiamo obbedienza e rispetto dai nostri figli o risultati eccellenti dalle loro prestazioni scolastiche, credendo che questo ci fornirà la patente di bravo genitore. Una patente che non impariamo ad ottenere cercandola dentro di noi, ma che speriamo di ricevere dall’esterno. Allora accentuiamo la nostra intolleranza a certi comportamenti del figlio, provando a correggere quest’ultimo così che diventi buono ed ubbidiente, un figlio modello, ricorrendo anche a modalità rigide o al cosiddetto braccio di ferro, convinti che il punto sia piegare quel figlio al nostro volere.

Facciamo un altro esempio: immaginiamo una donna che ha inseguito il desiderio di essere una moglie e una madre, di coprire questi ruoli meglio o come ha fatto la propria madre. Ipotizziamo che questa donna si trovi a vivere la decisone di diventare madre adottiva. Nonostante il sogno si sia realizzato, lei è diventata madre, potrebbe permanere il sentimento di non meritarsi di appartenere pienamente alla categoria “buona madre”, continuando a credere che per ricevere questa patente   sia necessario il legame di sangue con il proprio figlio. E allora, oppressa da questo sentimento, dimentica che, per un figlio, la madre è colei che lo accompagna nella crescita. O ancora: pensiamo a un figlio adottato che vive non sentendosi pienamente appartenente alla sua famiglia adottiva perché non ha potuto elaborare la nostalgia di non avere un legame di sangue con i suoi genitori.

IMPRIGIONARSI NEL RUOLO

In questi casi, dove non riusciamo a sentire la nostra identità con armonia, finiamo per irrigidire certi nostri pensieri, certe nostre credenze, certe nostre paure, per tentare di difendere il nostro ruolo (o uno tra i ruoli) che siamo chiamati a interpretare nella nostra vita. Fatichiamo a adattarci al progetto che stiamo realizzando, anche se diverso da quello idealizzato che avevamo delineato inizialmente. Così viviamo, navigando tra due scogli: una intolleranza estrema e una tolleranza totale, cercando quella rotta di navigazione che ci permetterà di aprirsi all’altro senza temere di perdere la propria identità.

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